Ecco qui di seguito la trascrizione di una mia conversazione con Francesco Testi.
Francesco, come mai l’hai voluta chiamare “Interrogazione di poesia”?
Vuole essere un omaggio ad Alberto Caramella, un poeta che ho avuto l’onore di conoscere, è il titolo di un suo bellissimo libro.
Vorrei chiederti tante cose, ma non so da dove iniziare, mi aiuti?
Sebenseban, Sebenseban.. Sebalapiscazzi!
Ho capito, inizio con le domande tradizionali. Quando hai deciso di fare l’attore?
Potrei dirti a dieci anni, quando mi iscrissi alla scuola del Piccolo Teatro di Arezzo. Ma ero troppo piccolo e mi piaceva soltanto giocare e attirare su di me l’attenzione, la vocazione e la scoperta del talento sono un’altra cosa e sono loro che ti fanno scegliere d’intraprendere una strada oppure no. Quindi non saprei dirti con esattezza quando ho davvero scelto di fare l’attore… Per come la vedo io, ero già attore quando da bambino facevo le “scenette” ai miei vicini di casa per farli ridere… Ma credo che la scelta di vita vera e propria, sia arrivata alla messa in scena del mio “Anatol” e alla successiva esperienza del Teatro Stabile di Bolzano, in cui avvertii per la prima volta che fare l’attore è arte sacra e profana a un tempo, che l’attore è simile a un sacerdote che dice la messa, si, ma la messa in scena!
(Ride)
Non c’è niente da ridere, è così! Quando dico in giro che sono attore di teatro, mi rispondono: “e di professione?”. E’ la verità, l’attore di teatro è una sorta di monaco, un frate. E il suo non è un mestiere, è un atto d’amore creativo.
Cretino?!
Creativo!! Nel senso che l’attore crea personaggi, stati d’animo, atmosfere… Esprime il proprio mondo poetico e quello dell’autore del testo che rappresenta… L’attore effonde emozioni e riflessioni importanti. Il teatro, l’arte in generale, è amore per l’umano.
Segui un metodo particolare quando reciti, ti ispiri a un modello interpretativo, hai dei punti di riferimento?
No. Per lo più mi sento un autodidatta. Non riesco a seguire metodi precostituiti o tecniche specifiche, l’arte è libertà, come dice Franco Fedeli. Casomai, i miei punti di riferimento, ma in continuo divenire, sono gli artisti che incontro nel mio percorso, quest’avventura che prosegue, nonostante la stagione.
Ti piacerebbe ricordarne qualcuno?
Beppe Arena, un genio alla Picasso, un vulcano straordinario di idee dall’apertura spirituale sconvolgente e devastante, un maestro di vita, oltre che un teatrante senza retorica, una personalità, un persuaso.
Sergio Pisapia Fiore, il teatro stesso: lui è teatro che si muove, sa fare tutto, dall’attore allo scenografo, dal compositore al drammaturgo. La sua deità alberga nella sua stessa follia anarchica e jazzistica, il suo essere perpetuo outsider. La sua passione ricorda quella delle tragedie greche. La sua tournée è un’enciclopedia umanistica, in cui ho compreso il sacrificio della vita di teatro, la cui essenza, come dice lui, è l’essenza stessa della vita.
Paolo Baiocco, un poeta della scena dai colori tenui e delicati, con lui anche uno sguardo è magia, perché in quello sguardo c’è il sogno edulcorato e gentile di un teatro nobile e antico. Paolo irradia carità cristiana e altezza morale, intimità e fierezza. E’ un Don Chisciotte grazioso, che non nasconde un mistico dolore: il suo è un teatro di parole innamorate e di sentimenti in via d’estinzione.
E tanti altri maestri..
Capisco. Francesco, cosa cercheresti in un attore, in un uomo di teatro, in un artista che volesse diventare tuo compagno di viaggio?
L’educazione. Non mi interessa il suo valore tecnico, il suo essere “bravo”. L’unica cosa che conta è l’umanità che racchiude in sé, il suo colore etico, la sua forza di carità, la sua voglia di collaborare più che di competere, la sua umiltà e il suo rispetto per gli altri, la sua sensibilità concettuale. Tutti, con un minimo di talento e di esperienza, possono diventare bravi attori. Pochi diventano capolavori, come diceva Carmelo Bene.
Ti senti più attore o poeta? Più regista o scrittore?
E’ la stessa cosa. Quello che conta per me è riuscire a divertirmi. E io mi diverto solo se riesco ad esprimermi liberamente, se emetto la mia interiorità, le mie sfumature personali, la mia anima. E’ sempre lirismo, è sempre trasfigurazione…
Snobbi la tv e il cinema?
Certo che no! Soprattutto non il cinema d’autore, di cui sono appassionato. Ma vorrei essere regista al cinema e attore a teatro. Solo a teatro l’attore può vivere quell’urto, quel brivido incombente. La gestualità, l’estensione vocale, il contatto adrenalinico col pubblico, la ragnatela emozionale invisibile, che si crea soltanto per i pochi istanti di rappresentazione, non si può vivere altrove ed è qualcosa di sublime…
Il cinema che mi attirerebbe fare è un cinema alla Fellini-Mastroianni o alla Truffaut-Léaud, un cinema che fa innamorare perché farlo è stato a tutti gli effetti un atto d’amore. Il film come opera d’arte, più che d’intrattenimento, ecco.
Più volte mi hai detto che per te la vocazione è croce e delizia di ogni artista. Qualche esempio?
Mah.. partiamo con le croci. Innanzitutto, anche quando lavori, sembri un nullafacente, un eterno disoccupato, un vagabondo. Poi s’incontrano talmente tanti schiaffi (attori o registi presuntuosi e arroganti), che ti viene voglia di non uscire più di casa. Inoltre oggi va di moda lo sfruttamento, non solo tra i lavoratori, ma tra i popoli e le nazioni. Così, per via dell’esubero di attori in cerca di lavoro e il numero esiguo di produzioni attive, è facile sentirsi sostituibile nell’immediato, carne da macello.
Questa è davvero la nota dolente: la mancanza di un rapporto umano autentico, il fondamento stesso dell’arte e della cultura, della spiritualità. Nessun uomo dovrebbe accettare il compromesso di sentirsi “usa e getta”.
Ti vedo molto amareggiato, passiamo alle delizie?
Non dimenticherò mai i compagni del mio “Anatol”, grandi sognatori.. tra noi, ci siamo scambiati l’anima più volte.
Ho recitato nei teatri più belli d’Italia, dal Carcano di Milano al Morlacchi di Perugia, fino al Politeama Leccese.. Per non parlare dei teatri all’aperto, posti magici come l’Arena Plautina di Sarsina, il Vittoriale di D’Annunzio, Segesta.. Non mi sono mai divertito tanto come con Beppe Arena nella tournée dell’ “Aulularia”, nella quale è nata la battuta storica della “banana in bocca”… La felicità del Premio Plauto. L’emozione indescrivibile per aver interpretato San Paolo in Vaticano, davanti al Papa oltre che a un oceano di persone. La soddisfazione di poter lavorare coi tuoi beniamini di sempre, come Renato Pozzetto o Andrea Roncato, col tuo sogno erotico, come Debora Caprioglio. Poter dividere il camerino con Lucio Dalla. Sentire l’arte pura di un grande attore come Paolo Bonacelli o di un genio poetico come Cesare Lievi.. E soprattutto, in alcune occasioni, sentirsi finalmente parte di una confraternita, una famigliola che gira di città in città, come una sgangherata e dolcissima carovana.
Sogni nel cassetto?
Ah… mille e poi mille! Vorrei pubblicare altri libri di poesie.. interpretare gli autori che mi appassionano di più, essere sempre ispirato.. Riuscire a mettere in scena tutto il mio universo interiore. Che è mio, ma in fondo è un po’ di tutti.
Come diceva Victor Hugo: “Fino a che punto il canto appartiene alla voce e la poesia al poeta?”
Annalisa Bianchi